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Autrice: Noor Naga
Editore: Feltrinelli
Pagine: 240
Prezzo: 18,00€

 

Lei è un’americana laureata alla Columbia, lui un egiziano nato in un villaggio “che nessuno ha mai sentito nominare”. Si incontrano al Cairo in una stagione segnata dall’incertezza per il futuro, sei anni dopo la rivoluzione del 2011 che non è riuscita a portare il rinnovamento tanto sperato, e a partire da quel momento la loro vita non sarà più la stessa.
La ragazza, figlia di egiziani benestanti emigrati negli Stati Uniti, è in cerca delle sue “radici”, come dice la madre in tono sprezzante, virgolettando la parola con le dita. Testa rasata, abiti mai abbastanza castigati, se ne va in giro per il Cairo senza velo, attirando la curiosità e spesso la riprovazione della gente. Il ragazzo, tanto povero quanto orgoglioso, ha documentato la rivoluzione con la macchina fotografica da cui non si separa mai e quando tutto è crollato, quando gli stranieri se ne sono andati abbandonando il paese al suo destino, è precipitato in una spirale di apatia che lo avvolge tuttora, complice l’abuso di sostanze.

Con una scrittura immaginifica e sensuale, Noor Naga ci porta nel cuore di una metropoli brutale e caotica, tessendo una costruzione ardita che sfida la forma-romanzo fino a una risoluzione inaspettata. La tragedia di due mondi che si scontrano, una storia fatta più di domande che di risposte, dove la lingua, l’identità e la ricerca di un senso di appartenenza sono sempre in primo piano.

La storia di un amore al Cairo o un romanzo sull’amore come arma dell’Impero?

Autrice: Janne Teller
Editore: Feltrinelli
Pagine: 128
Prezzo: 12,00€

 

Non c’è niente che abbia senso,
è tanto tempo che lo so. Perciò
non vale la pena far niente,
lo vedo solo adesso

Quanto vogliamo soffermarci su queste parole? Poco, diciamocelo. La paura che possano essere vere (ma cosa dico paura, il terrore) fa sì che le rifuggiamo, lasciamo che il loro significato ci rimbalzi addosso, possibilmente senza neppure scalfirci. Se davvero prendessimo in considerazione che nulla potrebbe avere senso, ci aspetterebbe solo il baratro.

Ecco perché, quando il dodicenne Pierre Anthon, compagno di classe di un gruppo di ragazzi di un paesino danese, se ne esce con questa constatazione e decide di ritirarsi calvinianamente sul ramo di un susino, i suoi coetanei entrano in crisi. Non può avere ragione. Se niente ha senso, perché alzarsi la mattina? Perché andare a scuola, a lavoro, perché innamorarsi se l’amore è destinato a finire, perché immaginare il futuro, perché sperare in un mondo migliore?

Una prospettiva agghiacciante, che spinge i compagni di Pierre Anthon a fare di tutto per dimostrargli il contrario.
Questo ragazzo va tirato giù dall’albero, gli va dimostrato che qualcosa che ha un significato c’è. A qualunque costo.
Il costo del significato.
Con quella che potrebbe essere definita una nera valanga di richieste sempre più tragiche, assurde, disturbanti, i ragazzi accumulano fisicamente, una sull’altra, le cose che per loro sono importanti. Un’importanza che a quel punto acquista sempre più valore, perché è il significato che giustifica le nostre azioni.

Ho provato a lasciarmi scalfire da quelle parole, ad ascoltarle davvero. E mi dispiace Pierre Anthon, perché il risultato è che sono pienamente d’accordo con te, ma la mia reazione è diametralmente opposta: Forse è vero che niente ha senso, che l’amore finisce, che non lo sappiamo che cosa è davvero importante, che alla gioia seguirà sempre il dolore. Ma al dolore seguirà nuovamente la gioia, dopo un amore finito arriverà un amore nuovo, e invece che vederne l’aspetto terrificante, mi piace vedere il lato confortante di questo cerchio destinato a ripeteresi.

Non c’è niente che abbia senso?
Chissà. Forse, al contrario, ha senso tutto.

Autrice: Ottessa Moshfegh
Editore: Feltrinelli
Pagine: 272
Prezzo: 18,00€

 

Il racconto si svolge nel corso di un anno nel villaggio medievale di Lapvona, un luogo povero e timorato di Dio che viene perennemente prosciugato dei suoi averi dal signore feudale che vive in cima alla collina. Il piccolo Marek, il figlio maltrattato e delirante di un pecoraio, non ha mai conosciuto sua madre; suo padre gli ha detto che è morta al parto. Una delle poche consolazioni della vita per Marek è il suo legame duraturo con l’ostetrica cieca Ina, che lo ha allattato quando era un bambino, come ha fatto con così tanti bambini del villaggio. Ma i doni di Ina vanno oltre all’accudimento dei neonati: possiede una capacità unica di comunicare con il mondo naturale. Il suo dono la trasforma in veicolo di conoscenze sacre che non sono disponibili agli altri abitanti del villaggio, per quanto religiosi possano essere. Per alcune persone, la casa di Ina nei boschi fuori dal villaggio è un posto da temere e da evitare, un luogo senza Dio.

Tra di loro c’è padre Barnaba, il prete della città e lacchè del depravato signore e governatore Villiam. Il disperato bisogno del popolo di credere che ci sia qualcuno che ha a cuore i suoi interessi è messo a dura prova da Villiam e dal sacerdote, specialmente in questo anno di siccità e carestia eccezionali. Ma quando il destino porta Marek vicino alla famiglia del signore, nuove forze occulte sconvolgono il vecchio ordine. Entro la fine dell’anno, il velo tra cecità e vista, vita e morte, mondo naturale e mondo degli spiriti si rivelerà davvero molto sottile.

Autore: Luciano Bianciardi
Editore: Feltrinelli
Pagine: 199
Prezzo: 9,50€

 

“[…] Datemi il tempo, datemi i mezzi, e io toccherò tutta la tastiera – bianchi e neri – della sensibilità contemporanea. Vi canterò l’indifferenza, la disubbidienza, l’amor coniugale, il conformismo, la sonnolenza, lo spleen, la noia e il rompimento di palle.”

Luciano Bianciardi è stato un intellettuale italiano, morto fin troppo giovane nel 1971 a causa della sua dipendenza dall’alcol. Era scrittore, giornalista, traduttore, un uomo di cultura che ha scritto pagine meravigliose sull’impresa culturale, un’impresa che criticava perché trasformatasi in una cosa politica, e “la politica, come tutti sanno, ha cessato da molto tempo di essere scienza del buon governo, ed è diventata invece arte della conquista e della conservazione del potere”. Sono righe scritte nei primi anni ’60, eppure più attuali che mai.

Così com’è attuale ogni suo pensiero riguardante la società, l’economia, il mondo del lavoro, la vita grigia a cui il sistema occidentale ci ha relegati.
Dopo essersi trasferito a Milano, inizialmente con l’intento di far esplodere un palazzo per vendicare la morte dei minatori della Maremma, è rimasto inghiottito dalla città e condannato ad un individualismo che consiste in una perenne lotta alla sopravvivenza, al lunario da sbarcare, alla gente che in metropolitana non riesce neppure a guardarsi negli occhi.
Nella Vita agra ci sono pagine intere, meravigliose, dedicate a tutto questo, e nonostante siano stati in tanti a scriverne in quegli anni, in queste ci sono un’umanità e una fragilità che le distinguono da tutte le altre.
Tutto il capitolo dieci è un manifesto che io farei studiare nelle scuole, appenderei nelle case, farei imparare a memoria.

“Occorre che la gente impari a non collaborare, a non farsi nascere bisogni nuovi, e anzi a rinunziare a quelli che ha”.

All’inizio vi sembrerà che usi un linguaggio troppo labirintico, di difficile comprensione, ma vi chiedo di fare lo sforzo di addentrarvici, in quel labirinto, di perdervi in quei giochi di sintassi degni del miglior Quenau, perché nascondono tesori capaci di cambiare la vostra visione del mondo, di illuminare la verità.