Autore: John Steinbeck
Editore: Bompiani
Pagine: 660
Prezzo: 14,00€
In caso di bisogno rivolgersi solo alla povera gente, mai ai ricchi
Da bambina ho avuto una gran fortuna. Sono stata un po’ sballottata in giro per il mondo, ma sono quasi sempre cresciuta in campagna.
Uno dei posti in cui ho trascorso più tempo, sfondo di alcuni dei miei ricordi più felici, è la casa dei miei zii: avevano un orto grande tre volte la casa, la stalla con le mucche e il maiale, le galline, qualche vigna, e campi di granturco a perdita d’occhio. Avevo quattro anni quando mi arrampicavo sul trattore o sul rimorchio dello zio, aiutavo la zia a sgranare i piselli, accompagnavo i grandi a far la vendemmia mangiando la metà dei grappoli che mettevo nel secchio.
Quant’era buono il cibo che stava a sera su quella tavola manco ve lo racconto.
Me lo ricordo bene quel rapporto con la terra, così tangibile, concreta, e ringrazio Steinbeck per averlo reso di nuovo così vivido, per questa morsa al cuore.
Protagonista di Furore è la famiglia Joad, una famiglia di contadini dell’Oklahoma costretta ad emigrare verso ovest, lungo la vecchia Route 66, perché l’industrializzazione agricola degli anni ’30 ha spodestato i coloni dando tutto in mano ai grandi proprietari terrieri, alle banche, alle macchine.
Ma protagonista di Furore è soprattutto la terra. La terra che coltiviamo, che calpestiamo, che ci lasciamo alle spalle perché cacciati o costretti a cercare altre terre da coltivare, calpestare, da chiamare ‘casa’. Una terra che in ogni parte del mondo, in ogni epoca, ha visto passare, fermarsi e ripartire migranti e nomadi, che si sono prima sentiti maltrattati, insultati, indesiderati, per poi diventare abitanti, nativi, e infine padroni, in seguito nuovamente cacciati da nuovi padroni, nuove dinamiche, nuovi sistemi.
Leggere Furore di Steinbeck adesso, insegna che il mondo è cambiato ben poco, e che l’unica cosa che può salvarci è ricordare che “due uomini insieme sono sempre meno perplessi di un individuo solo”. Che la differenza sta, e starà sempre, nella transizione da “io” a “noi”.