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aa.vv.
Editore: Il post/Iperborea
Pagine: 320
Prezzo: 19,00€

Voltiamo decisamente pagina è il settimo numero di COSE Spiegate bene, la rivista di carta del Post realizzata in collaborazione con Iperborea.

Molte cose stanno cambiando nel giornalismo, nei giornali, e anche nei lettori: è un periodo intenso e critico per l’informazione italiana e mondiale, presa in mezzo tra un ruolo che non è mai stato così prezioso per il funzionamento e la crescita delle democrazie e un inizio di secolo che ne ha scompigliato la sostenibilità economica.

Capire come «leggerli» davvero i giornali, su quali regole e meccanismi si basino le scelte e le decisioni di chi li fa, è prezioso per comprendere quello che ci succede intorno e come viene raccontato. Come si finanziano i giornali? Chi sono le persone che li fanno? Che lingua parlano? Come si diventa «giornalisti»? Cosa sta succedendo ai più famosi quotidiani italiani e stranieri? Come si legge un’intervista? Come si misurano le copie vendute? Cosa dobbiamo pensare quando su un giornale vediamo un testo fra virgolette? E perché l’ira è l’emozione più usata nei titoli? Si può restare sulla superficie dei fatti raccontati, oppure diventare lettori più accorti e informati sull’affascinante e centrale mondo delle news e di chi le produce.

Con testi di Annalena Benini, Michela Murgia, Mario Tedeschini Lalli, Carlo Verdelli e della redazione del Post.

Autore: Patrik Svensson
Editore: Iperborea
Pagine: 224
Prezzo: 18,00€

Tra avventurieri e capodogli, esploratori e fossili millenari, L’uomo con lo scandaglio è una grande ode al mare e alle sue meraviglie, da uno degli scrittori-naturalisti più apprezzati di sempre.

Il mare è un mistero. Ne abbiamo tracciato i confini, scandagliato le profondità, ma rimane l’ultima frontiera, che forse non attraverseremo mai. Narratore con Linneo nell’animo, instancabile indagatore del mondo naturale, Patrik Svensson ha raccolto in questo libro multiforme – romanzo d’avventura, memoir, indagine scientifica – storie di personaggi celebri e individui dimenticati che si sono consacrati al mito del mare, dai naviganti polinesiani che attraversarono in canoa l’Oceano Pacifico a Piccard e Walsh, che per primi osservarono il paesaggio alieno della fossa delle Marianne.

La storia del mare è una storia di curiosità umana – come quella di Robert Dick, il fornaio-naturalista che nel 1863 trovò su una spiaggia scozzese un fossile vecchio di 385 milioni di anni e rivoluzionò la teoria evolutiva – e di bellezza, come ci insegna Rachel Carson, che al mare dedicò pagine memorabili e che grazie al mare conobbe l’amore di una vita. Ma è anche una storia di soprusi, come testimonia l’ultimo viaggio di Magellano, quello in cui rimase ucciso, qui narrato dalla prospettiva di Enrique, il suo schiavo malese e forse il primo uomo a circumnavigare davvero il globo.

Dalle antiche leggende di calamari giganti all’epopea dei capodogli immortalati in Moby Dick, passando per l’allarme ecologico a cui oggi nessuno può sottrarsi, L’uomo con lo scandaglio è un racconto sulle grandi domande della natura, quelle a cui nei secoli la nostra irrequietezza è riuscita a rispondere e quelle che la nostra filosofia non potrà mai sognare.

Autrice: Niviaq Korneliussen
Editore: Iperborea
Pagine: 320
Prezzo: 18,50€

Vive a Nuuk, la capitale della Groenlandia, è giovane e ribelle, ha una ragazza che la ama e un futuro che l’attende in Danimarca, dove sta per iniziare l’università. Eppure si sente troppo grossa, troppo scura, troppo diversa dai compagni di studio, e mentre tutti a casa credono che stia spiccando il volo verso la desiderata libertà, lei sprofonda in un disagio che in realtà ha sempre avvertito, un senso di inadeguatezza e vertiginosa solitudine, un bisogno bruciante di amore unito a una paura di deludere e di donarsi con cui finisce per far male agli altri quanto a se stessa. Un malessere che da bambina la portava a nascondersi sul Monte Corvo, nella tana di uno «spirito della montagna», e che prende il sopravvento quando un lutto la conduce nella natura maestosa della Groenlandia orientale, fino a una valle di fiori di plastica, piena di croci anonime e dimenticate. Così finiscono i tanti giovani inuit che ogni anno si tolgono la vita, nel silenzio del sistema e delle loro stesse famiglie – un tabù di cui nessuno vuole parlare.

Come forse avrete visto in giro, succede che due realtà, che già individualmente creano cose bellissime, si siano messe insieme perché possiate godere della bellezza in potenza.
Vuol dire che se comprate due titoli Iperborea, tra tuuuuutti i titoli iperborea (narrativa, infanzia, Cose spiegate bene, The Passenger, L’integrale), potete aggiudicarvi uno dei poster realizzati per l’occasione da Ciao Discoteca Italiana.

Ora. Già iperborea è una delle case editrici che amiamo di più e che fa un lavoro di diffusione e divulgazione accurato e meraviglioso (a partire dalla new entry dell’Integrale, rivista di pane e cultura che avevamo già la fortuna di conoscere). Se ci aggiungiamo poi la grafica di Ciao Discoteca Italiana allora CIAO proprio (scusate, questa era doverosa).
È proprio una di quelle occasioni che a perderle poi lo sappiamo che vi mangereste le mani.

Quindi: fatevi avanti, e se siete indecis* saremo felicissime di consigliarvi la combo più adatta. Oppure vi affidate al caso. Tanto qui qualsiasi cosa pigliate cascate bene.

aa.vv.
Editore: Iperborea
Pagine: 312
Prezzo: 19,00€

«Colpo di teatro» è il sesto numero di «COSE Spiegate bene», la rivista di carta del Post realizzata in collaborazione con Iperborea. Qualcuno dice che il teatro è «ogni volta che una persona recita e una persona guarda», definizione che rende teatro gran parte delle nostre vite quotidiane: e il teatro poi ci si infila, nelle vite quotidiane, a forza di modi di dire, citazioni d’opera, ma anche accogliendole nei suoi palcoscenici e sulle sue poltroncine.

Come è vero anche per la parola «libri», di cui si occupò il primo numero di «COSE Spiegate bene», noi chiamiamo «teatro» sia il contenuto che il contenitore, e le due cose insieme hanno molto da raccontare: gli aspetti economici, l’organizzazione delle stagioni e delle compagnie, le architetture, le vite degli attori, le storie degli autori, le professioni di chi pianta chiodi e di chi promuove gli spettacoli sui social network, il pubblico e i suoi comportamenti, e quello che è successo in questi anni al teatro, sempre raccontato come fragile e sempre capace di riempire i suoi «teatri». Con testi di Malika Ayane, Marco Baliani, Matteo Caccia, Andrea De Rosa e della redazione del Post.

Autore: Stig Dagerman
Editore: Iperborea
Pagine:
Prezzo: 7,00€

 

La mia vita non è qualcosa che si debba misurare

William Morris, artista e scrittore tra i fondatori del movimento delle Arts and Craft, aveva identificato due tipi di lavoro: uno buono e uno indegno. Un lavoro, per essere buono, doveva avere insite tre speranze: la speranza del riposo, la speranza del prodotto e la speranza del piacere di praticare il lavoro stesso.

Questo lo scriveva nell’Ottocento.
Il secolo successivo ha distrutto ogni buon proposito al riguardo.
Il Novecento, infatti, è stato il secolo in cui la società occidentale ha cementificato il concetto che la realizzazione individuale possa arrivare solo tramite il lavoro, senza speranza di sorta.
Anche il nostro percorso di studi dev’essere in funzione delle possibilità lavorative che ne deriveranno, non sono contemplabili scelte fatte per il mero piacere della conoscenza. Il nostro sapere deve potersi tradurre in profitto.

Caro il mio capitalismo, mi dispiace dirtelo ma hai tirato troppo la corda. Rinunciare a quelle tre speranze è diventato sempre più insostenibile, e appena ci fermiamo (o siamo costretti a farlo) diventa lampante.
Soprattutto rinunciare alla speranza del riposo, che spesso non è data neppure a chi fa un lavoro che ama, che a quel punto si sente quasi in colpa a reclamarlo.
Eppure è proprio lì che sta la nostra libertà.

Ed è qui che affonda la lama lo scrittore anarchico svedese Stig Dagerman in quello che viene considerato il suo testamento spirituale, ricordandoci che noi esistiamo per vivere, e che nessuno ha il diritto di esigere da noi così tanto da toglierci la voglia di farlo.

𝐼𝑙 𝑛𝑜𝑠𝑡𝑟𝑜 𝑏𝑖𝑠𝑜𝑔𝑛𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑠𝑜𝑙𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 è un libriccino di poche pagine che dovremmo leggere tutti, legarlo al comodino, aprirlo ogni qual volta lo sconforto abbia la meglio.
È la scossa che ci risveglia, il monito che ci invita a fermarci, qualsiasi cosa stiamo facendo, che ci esorta a “deporre il fardello del tempo dalle nostre spalle, e, con esso, quello delle prestazioni che da noi si pretendono.”

Leggetelo, regalatelo, sottolineatelo, imparatelo a memoria.
Che le sue parole diventino consolazione prima, e linfa vitale poi.

[Canzone di accompagnamento alla lettura: Fruits of my labor di Lucinda Williams]

aa.vv.
Editore: Iperborea
Pagine: 272
Prezzo: 19,00€

«La Terra sopravviverà», diciamo spesso nelle preoccupazioni sul riscaldamento globale: sono gli esseri viventi e le loro vite come le conosciamo a essere in pericolo. Ma il rapporto tra noi umani e la Terra che abitiamo cambia continuamente anche in quello che ne conosciamo: nelle nostre scuole si insegna meno geografia, Google Maps ha cambiato il nostro rapporto con lo spazio e i movimenti, la geopolitica è diventata di nuovo un tema di discussione, per tragiche ragioni. Ci sono un sacco di cose da conoscere e capire sul pianeta e su quello che ne abbiamo fatto: importanti, affascinanti, utili, spesso tutte e tre le cose assieme.

Cosa sta cambiando nelle rotte navali? Quanto dura una stagione? Come si costruiscono le metropolitane? Dov’è il confine fra Terra e Spazio? Qual è la capitale della Bolivia? Che ore sono, davvero? La geografia è presente nella vita quotidiana di tutti e «saper stare al mondo» significa innanzitutto conoscere gli spazi vicini e distanti e come influiscono sulle nostre vite, da quando ci svegliamo la mattina a quando raggiungiamo un luogo lontano, magari «agli antipodi». Già, e cosa c’è agli antipodi?

Autrice: Guðrún Eva Mínervudóttir
Editore: Iperborea
Pagine: 192
Prezzo: 17,00€

 

Quando il piccolo Aron Snær, abbandonato dal padre, entra nelle vite di Árni, Borghildur e Hanna, la loro esistenza è divisa tra la rassegnazione al dolore e la speranza di una svolta. Árni insegue un amore impossibile, accompagnato dall’iperattivo labrador Alfons, che incoraggia le sue zoppicanti passeggiate verso un futuro incerto. Borghildur è una vedova alle prese con il suo lutto che si sente come un «sacco pieno di schegge di vetro», e i figli cresciuti e lontani non sanno aiutarla. Hanna è un’adolescente solitaria che non mangia più, a cui cucinarsi una pasta sembra un miracolo. Il sobborgo di Reykjavík dove vivono, un microcosmo islandese di pace stretto tra torrenti e immensi pascoli, li inghiotte in un’ovattata routine che fa da cassa di risonanza a ogni inquietudine. Finché il piccolo Aron, incrociando in diversi modi le loro strade, così sprovveduto e indifeso, fa scattare qualcosa: la compassione vince la solitudine e risveglia quel bisogno di connessione che è profondamente radicato dentro ciascuno. Forse l’unica ancora di salvezza sono le altre persone, i legami umani, la solidarietà?

Con una scrittura delicata e di poetica eleganza, sotto la quale ribolle l’umanità dei suoi personaggi, Guðrún Eva Mínervudóttir dà voce a donne e uomini infelici che cercano metodi per sopravvivere e scoprono l’empatia, imparando che «in ogni parola scambiata» può celarsi «la promessa di qualcosa di straordinario».

Autore: Jón Kalman Stefánsson
Editore: Iperborea
Pagine: 608
Prezzo: 21,50€

Islanda, Fiordi occidentali, un uomo si ritrova nella chiesetta di un villaggio sperduto senza sapere come ci è arrivato né perché. Una lapide nel piccolo cimitero lo colpisce: «La tua assenza è tenebra.» È la figlia della defunta ad accompagnarlo nell’unico albergo della zona, dove tutti sembrano conoscerlo e Sóley, la proprietaria, lo accoglie come un amore ritrovato, mentre lui non ricorda neppure il proprio nome. Sa solo che quando scrive sente di uscire dalla gabbia del tempo, e così dalla sua penna riaffiora impetuosa una saga che spazia tra gli ultimi due secoli e da un capo all’altro dell’isola, raccontando di donne e uomini inquieti e accomunati da un’intensità del sentire che non può ridursi entro i confini angusti della quotidianità: dal reverendo Pétur, sposato ma invaghito segretamente di una sconosciuta, che scrive lettere al poeta Hölderlin, a Guðríður, contadina colta di fine Ottocento che intreccia il suo destino alla nascita del femminismo islandese; da Ási, la cui vita è ostaggio di un’insaziabile sete di sesso, a Eiríkur, che cerca di colmare con la musica il vuoto dell’abbandono subito nell’infanzia.

Errori, debolezze, scelte impossibili e rinunce si avvicendano in una maldestra ricerca della felicità, riverberandosi nelle note che come una colonna sonora accompagnano ogni pagina, da Elvis a Nick Cave, da Nina Simone a Bach. Mentre il narratore che ricorda e racconta ci trasporta in una zona di confine tra vita, memoria e poesia che riesce a sfidare le leggi del tempo: «Scrivi. E non dimenticheremo. Scrivi. E non saremo dimenticati. Scrivi. Perché la morte è solo un altro nome per l’oblio.»

aa.vv.
Editore: Iperborea
Pagine: 192
Prezzo: 19,50€

The Passenger è una raccolta di inchieste, reportage letterari e saggi narrativi che formano il ritratto della vita contemporanea di un paese e dei suoi abitanti. Cultura, economia, politica, costume e curiosità visti attraverso la testimonianza di scrittori, giornalisti ed esperti locali e internazionali. Tante storie e diverse voci che compongono un racconto sfaccettato ed eclettico, per scoprire, capire, approfondire, lasciarsi ispirare.

Il singolare è d’obbligo: Oceano, unico grande mare che ricopre oltre il settanta per cento del pianeta. «Bisognerebbe chiamare la Terra Oceano, perché tutte le masse terrestri sono isole» suggerisce l’icona dell’oceanografia Sylvia Earle. Questo invito a cambiare sistema cosmologico, a essere meno terracentrici, si accompagna alla necessità di una conversione etica che miri all’empatia e a una visione del mondo meno antropocentrica. Spesso parlando di allevamenti intensivi si dice che «se vedessimo come vivono e muoiono gli animali» non li consumeremmo più. È meno comune che questi ragionamenti vengano estesi agli abitanti dei mari, nemmeno ipoteticamente, perché ciò che è sotto la superficie e per di più a centinaia o migliaia di chilometri dalla terraferma è molto più difficile da vedere. Per questo è ancor più importante parlarne, in termini sia scientifici che narrativi, e invitare alla riflessione, come fanno i migliori divulgatori quando ci spiegano che la conoscenza scientifica, per esempio sugli effetti devastanti dello sterminio della fauna selvatica oceanica, c’è già, ma non è ancora stata interiorizzata. Manca l’empatia quindi, quella facoltà che a torto consideriamo solo umana, quando nei cetacei, come indica lo studio della loro biologia e dei loro comportamenti, potrebbe essere ancora più sviluppata.

Rimediare a questa «cecità al mare» non significa solo interessarsi alla salute degli oceani, così fondamentale per il regolamento del nostro clima, ma includere nella narrazione – o portare a galla, l’acqua è il simbolo per eccellenza dell’inconscio – tante storie invisibili: dalle vite dei lavoratori offshore sulle piattaforme petrolifere, alla riservatissima industria del trasporto marittimo, fino ai pescatori di frodo, disposti a sfidare iceberg, tempeste e mesi di fughe dagli ambientalisti pur di non abbandonare il loro prezioso carico. Bisogna cambiare rotta, e se lo dice un capitano esperto come Giovanni Soldini, non possiamo che seguirlo.